all'interno della Festa Popolare 2015
Biblioteca Chiesa Rossa, Via San Domenico Savio 3
inaugurazione della mostra sulla EX DARSENA
con interventi e dibattito
La Darsena di Milano
(qui in una foto degli anni ‘50) costituisce un ambiente fondamentale per la
comprensione della natura e della storia della città. I lavori di
riqualificazione, fatti in occasione dell’Expo, hanno suscitato reazioni
favorevoli da parte di molti, che vi hanno visto “finalmente qualcosa di buono
fatto dalla giunta Pisapia”. Ma hanno anche suscitato perplessità e contrarietà
da parte di molti, tra cui noi, per cui riteniamo opportuna qualche
considerazione.
1)
La maggior parte di chi
si è espresso favorevolmente ha usato due argomenti: il primo era: “ma prima
era peggio, disordinato e sporco”. Argomento inconsistente dal momento che la
proposta sostenuta dai critici non è “lasciare tutto com’era” ma è “andava
fatto un lavoro culturalmente e filologicamente corretto” cioè conservazione dei manufatti fondamentali con rispetto
dei valori storici.
2)
Il secondo argomento è
stato: “Ma adesso è bello”. “Bello” è un termine troppo generico. La
valorizzazione di un ambiente ricco di storia come la Darsena di Milano
richiedeva il rispetto di alcuni criteri legati al ruolo che quell’ambiente ha
avuto per secoli nella storia cittadina e del ruolo che deve mantenere nella
maturazione delle coscienze degli abitanti. In questo caso il “bello”
nuovamente prodotto appare ispirato non alla Storia di Milano, quanto piuttosto
a una delle icone del turismo internazionale (il lungosenna parigino, forse) e
ha portato a ricostruirne un centinaio di metri. Qualche buquiniste ne ha già preso atto. Forse “bello”, fruibile come parco,
ma culturalmente inutile. Spreco
di risorse.
3)
L’idea da contestare,
in verità, è quella dei cosiddetti “giacimenti culturali”. Il patrimonio culturale,
artistico, storico di un Paese deve avere la funzione di contribuire a costruire
la personalità di chi vive in quella comunità (nativo o straniero che sia) per
farne persone più colte, più sensibili, più creative, in grado di acquisire
nuove competenze, di esercitare mestieri di elevata professionalità, di
esprimere la propria maturazione con nuove creazioni. Il patrimonio culturale
non può essere concepito come materiale da sfruttare come merce per un turismo
mordi e fuggi, che paghi un biglietto senza ricavarne alcuna maturazione reale,
costruendo così per chi vive in quella comunità un destino da usciere precario.
4)
In questi giorni
assistiamo a un altro analogo spreco: la Pietà Rondanini viene tolta
dall’ambientazione BBPR al Museo del Castello dove veniva, come punto di
riflessione e di scoperta, alla fine di un percorso di 200 anni di storia della
scultura lombarda. Un percorso costellato da alcuni episodi formidabili della
storia milanese (l’arca di Barnabò Visconti, le sculture della vecchia Porta
Romana, la lastra tombale di Gastone di Foix, lo stesso Gonfalone della città),
momenti che varrebbe la pena di illustrare meglio uno per uno. La Pietà verrà
ora collocata in una stanza solitaria nell’ex Ospedale spagnolo: si paga il
biglietto, si guarda e si esce. Si incasseranno magari tanti soldi da turisti
frettolosi ma probabilmente nessuno avrà imparato niente.
5)
Pur nel grave marasma e
le molte superfetazioni da eliminare l’ambiente della Darsena era costituito da
due ambiti distinti: L’antica Darsena e la Piazza XXIV maggio, quella dalla
quale partono le manifestazione della May Day.
Nell’ambito
Darsena esistevano: la confluenza di due grandi canali navigabili; lo
specchio d’acqua che ha costituito il punto centrale del sistema dei Navigli e
che fino all’inizio del Novecento costituiva l’ottavo porto italiano
per tonnellaggio; un
tavolato ligneo (recentemente scoperto) della prima darsena milanese risalente
forse all’anno mille (prima della prima Darsena del 1177); un settore residuo delle mura
spagnole; un vecchio mercato
rionale di foggia tradizionale; il raccordo con la Conca di Viarenna sul canale
(parzialmente coperto) che permetteva il traffico tra la Darsena e la Cerchia
dei Navigli (ora interrati). Questa Conca risale al 1400 (prima dell’arrivo a
Milano di Leonardo e da lui studiata).
Piazza XXIV maggio era un grande piazzale
disordinato (ma che nel tempo aveva comunque raggiunto una propria fisionomia)
con alcuni elementi storicamente significativi distribuiti in modo casuale e in
mezzo a un traffico caotico. Questi elementi erano: un grande albero
centenario piantato alla fine della Prima guerra mondiale; due caselli daziari; l’Arco di Porta Ticinese, monumentale
opera del Cagnola; un tradizionale
apprezzato chiosco del pesce.
6)
Vediamo ora le
trasformazioni imposte ai due ambienti. La Darsena: la mancanza
di indicazioni più precise non permette di dire se lo specchio d’acqua è stato modificato o mantiene
tutta l’ampiezza precedente; l’assito
dell’antica darsena è stato ricoperto totalmente; del raccordo con la conca di Viarenna rimane un ponticello e
un semicerchio di cemento (per fortuna il resto, la parte più brutta, è sotto
il livello dell’acqua); le mura
spagnole sono coperte da anonime mattonelle rosse; il vecchio mercato è stato demolito e ricostruito su una parte
della banchina dell’ex porto: il
resto delle banchine dell’ex porto è stato pedonalizzato e appare
destinato a contenere molte iniziative economiche (bar, ristoranti,
ecc) di cui alcune già in costruzione, anche con strutture precarie
galleggianti. Le strutture fisse
sono di un incomprensibile colore verde scuro di cui nella storia di Milano non
c’è traccia; su tutto incombe un enorme cubo nero come supporto di uno spazio televisivo
promozionale.
In questo ambito ci sono comunque alcuni elementi
parzialmente positivi: la riapertura di un breve tratto (20/30 metri) del
deflusso del canale Ticinello; la riscoperta dell’antico Ponte delle Gabelle
sul Ticinello; l’edificazione di un ponte sospeso pedonale, all’altro capo
della ex Darsena.
La piazza, poi, è ancora più desolata di prima e
di difficile attraversamento anche pedonale e soprattutto senza coerenza
interna e senza collegamento logico con il circondario; l’albero centenario resta
isolato in una piccolissima aiuola; i caselli daziari appaiono sperduti tra
incongrue rotaie tranviarie; l’arco del Cagnola è ridotto a spartitraffico; il
nuovo tratto del Ticinello resta tronco e senza giustificazione; il Ponte delle
Gabelle difficilmente riconoscibile come tale, accostato a una specie di grande
tombino circondato da alte balaustre in metallo in cui scompare il Ticinello; il
chiosco del pesce è quadruplicato. Resta un grande piazzale su due livelli
lastricato con grandi pietroni.
7)
Che cosa si sarebbe dovuto o potuto fare? tentiamo
qualche esempio, non un progetto alternativo ma solo qualche idea per
esemplificare:
alla
Darsena si sarebbe dovuto conservare il riferimento alla caratteristica di
porto fluviale di una grande città commerciale. Un esempio possibile avrebbe potuto
essere la trasformazione dell’Antico porto di Genova realizzata da Renzo Piano,
dove quanto possibile è stato conservato e rinnovato e si sono inventati nuovi
elementi che, per funzione o per aspetto, rievocano la struttura precedente (l’acquario, il Bigo, il museo del
Mare). Anche nel caso milanese le nuove strutture (poche e coerenti, compreso
mercato e qualche posto di ristoro) avrebbero dovuto rievocare antiche strutture,
mostrare funzioni e simbologie significative, ecc.. Si poteva, per esempio
trasferire qui il Museo e Biblioteca d'Arte Marinara "U. Mursia" oggi
sacrificato a Palazzo Morando; una scuola di canottaggio, o altro; si sarebbe dovuto valorizzare il
tratto delle mura spagnole rimaste, anziché seppellirle sotto un anonimo nuovo
muraglione; la ricopertura dell’antico assito era una disposizione del Conservatorio
archeologico, vista l’impossibilità di conservarlo adeguatamente, ma poteva
esserne mantenuta una traccia, un riferimento, almeno un pannello illustrativo,
una segnaletica ecc.); analogamente doveva essere meglio indicato il collegamento
con la Conca di Viarenna se fosse stato impossibile ricostruirlo davvero.
Indispensabile sarebbe almeno un passaggio pedonale (strisce bianche) per
rendere possibile l’attraversamento dell’infernale viale D’Annunzio per
permettere di raggiungere la Conca di Viarenna.
Per di
più, se quel che era un porto aveva meno problemi di sicurezza contro eventuali
cadute in acqua, questo che è diventato un passeggio per famigliole dovrebbe
aver previsto protezioni e dispositivi per poter risalire in caso di caduta accidentale
in acqua.
La
nuova piazza è ancor peggio risolta. Le manca un minimo di unità logica, una
credibile omogeneità funzionale, un collante storico. Si sarebbe potuto, magari,
cambiargli l’infausto nome di celebrazione di un’atroce guerra (meglio sarebbe
riscoprire la pace e l’accoglienza dedicando la piazza alle “nuove vittime del
mare”, i migranti da Paesi distrutti). Si sarebbe potuto far scorrere le rotaie
dei tram e gli attraversamenti automobilistici solo sul lato orientale e su quello
meridionale della piazza, ottenendo così un grande spazio da piantumare a verde
riunendo in un’unica area l’albero centenario, l’arco del Cagnola, almeno uno
dei caselli, il Ponte delle Gabelle, la pescheria, l’attuale piazzale
lastricato (ex mercato) sfruttando eventualmente i due diversi piani per
costruire un piccolo anfiteatro, e magari prolungare di una decina di metri il
tratto scoperto del Ticinello rendendolo più coerente e restituendo al Ponte
delle Gabelle un aspetto di ponte di transito, e, visto che le sue dimensioni sono eccessive per la funzione
solo pedonale che ora avrebbe, si sarebbe potuto collocare sul Ponte stesso
anche il Trionfo del Fuentes (un monumento che prima stava su un altro ponte della
stessa sponda e che ora sta in qualche deposito del Comune).
Anche a
non voler interrare il tratto di via D’Annunzio, qualche arredo opportuno (due
tettoie sopra i passaggi pedonali, per esempio) avrebbe potuto indicare un
collegamento con corso di porta Ticinese e piazza san Eustorgio.
8)
Come si è giunti all’attuale risultato?
La progettazione è stata affidata a tecnici
interni al Comune senza ricorrere a professionisti esterni, e questo è
certamente positivo. E’ però evidente che il progetto è stato influenzato -se non
fatto direttamente derivare- da quello previsto all’epoca in cui si voleva
realizzare sotto la Darsena un parcheggio (progetto fortunatamente sventato) e
dall’adesione ideologica degli amministratori alla teoria dei “giacimenti
culturali”.
E’ comunque mancata, soprattutto nella fase
progettuale, un’aperta consultazione del pubblico che si è trovato di fronte a
un semplice rendering poco valutabile
e sul quale non era possibile intervenire; il cantiere, poi, è stato sempre rigorosamente
chiuso e invisibile: poche visite parziali e frettolose sono state concesse a
rappresentanti della cittadinanza ma delle loro osservazioni non si è tenuto
nessun conto. Neppure il Comitato spontaneo che si è costituito ha trovato
ascolto da parte delle istituzioni cittadine responsabili del progetto, anche
perché ha impostato la sua azione non sulla ridiscussione “dell’ipotesi
culturale” sottesa al progetto, ma solo sulla contestazione di elementi puntuali
considerati inaccettabili (il carattere del lastricato, l’odore del pesce, l’invadenza
delle nuove dimensioni della pescheria, la scarsa agibilità del mercato
rispetto al quartiere di via San Gottardo, e simili).
Inoltre il Comitato ha puntato soprattutto
sulla possibilità di ottenere dalle autorità cittadine ascolto e variazioni del
progetto indicendo alcune assemblee di informazione del pubblico ma
sostanzialmente rinunziando a una reale mobilitazione che avrebbe richiesto
iniziative ampie, pubbliche e incisive e lo stesso comitato No Expo non ha
saputo intervenire in questo ambito (che pure nasceva in collegamento con Expo
di cui doveva inizialmente costituire il punto d’arrivo delle Vie d’Acqua).
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