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lunedì 15 giugno 2015

Via d'acqua ed ex Darsena

VENERDì 19 GIUGNO h. 20.30
all'interno della Festa Popolare 2015
Biblioteca Chiesa Rossa, Via San Domenico Savio 3

inaugurazione della mostra sulla EX DARSENA
con interventi e dibattito



La Darsena di Milano (qui in una foto degli anni ‘50) costituisce un ambiente fondamentale per la comprensione della natura e della storia della città. I lavori di riqualificazione, fatti in occasione dell’Expo, hanno suscitato reazioni favorevoli da parte di molti, che vi hanno visto “finalmente qualcosa di buono fatto dalla giunta Pisapia”. Ma hanno anche suscitato perplessità e contrarietà da parte di molti, tra cui noi, per cui riteniamo opportuna qualche considerazione.
1)             La maggior parte di chi si è espresso favorevolmente ha usato due argomenti: il primo era: “ma prima era peggio, disordinato e sporco”. Argomento inconsistente dal momento che la proposta sostenuta dai critici non è “lasciare tutto com’era” ma è “andava fatto un lavoro culturalmente e filologicamente  corretto” cioè conservazione dei manufatti fondamentali con rispetto dei valori storici.
2)             Il secondo argomento è stato: “Ma adesso è bello”. “Bello” è un termine troppo generico. La valorizzazione di un ambiente ricco di storia come la Darsena di Milano richiedeva il rispetto di alcuni criteri legati al ruolo che quell’ambiente ha avuto per secoli nella storia cittadina e del ruolo che deve mantenere nella maturazione delle coscienze degli abitanti. In questo caso il “bello” nuovamente prodotto appare ispirato non alla Storia di Milano, quanto piuttosto a una delle icone del turismo internazionale (il lungosenna parigino, forse) e ha portato a ricostruirne un centinaio di metri. Qualche buquiniste ne ha già preso atto. Forse “bello”, fruibile come parco,  ma culturalmente inutile. Spreco di risorse.
3)             L’idea da contestare, in verità, è quella dei cosiddetti “giacimenti culturali”. Il patrimonio culturale, artistico, storico di un Paese deve avere la funzione di contribuire a costruire la personalità di chi vive in quella comunità (nativo o straniero che sia) per farne persone più colte, più sensibili, più creative, in grado di acquisire nuove competenze, di esercitare mestieri di elevata professionalità, di esprimere la propria maturazione con nuove creazioni. Il patrimonio culturale non può essere concepito come materiale da sfruttare come merce per un turismo mordi e fuggi, che paghi un biglietto senza ricavarne alcuna maturazione reale, costruendo così per chi vive in quella comunità un destino da usciere precario.
4)             In questi giorni assistiamo a un altro analogo spreco: la Pietà Rondanini viene tolta dall’ambientazione BBPR al Museo del Castello dove veniva, come punto di riflessione e di scoperta, alla fine di un percorso di 200 anni di storia della scultura lombarda. Un percorso costellato da alcuni episodi formidabili della storia milanese (l’arca di Barnabò Visconti, le sculture della vecchia Porta Romana, la lastra tombale di Gastone di Foix, lo stesso Gonfalone della città), momenti che varrebbe la pena di illustrare meglio uno per uno. La Pietà verrà ora collocata in una stanza solitaria nell’ex Ospedale spagnolo: si paga il biglietto, si guarda e si esce. Si incasseranno magari tanti soldi da turisti frettolosi ma probabilmente nessuno avrà imparato niente.
5)             Pur nel grave marasma e le molte superfetazioni da eliminare l’ambiente della Darsena era costituito da due ambiti distinti: L’antica Darsena e la Piazza XXIV maggio, quella dalla quale partono le manifestazione della May Day.
Nell’ambito Darsena esistevano: la confluenza di due grandi canali navigabili; lo specchio d’acqua che ha costituito il punto centrale del sistema dei Navigli e che fino all’inizio del Novecento costituiva l’ottavo porto italiano per tonnellaggio; un tavolato ligneo (recentemente scoperto) della prima darsena milanese risalente forse all’anno mille (prima della prima Darsena del 1177); un settore residuo delle mura spagnole; un vecchio mercato rionale di foggia tradizionale; il raccordo con la Conca di Viarenna sul canale (parzialmente coperto) che permetteva il traffico tra la Darsena e la Cerchia dei Navigli (ora interrati). Questa Conca risale al 1400 (prima dell’arrivo a Milano di Leonardo e da lui studiata).
Piazza XXIV maggio era un grande piazzale disordinato (ma che nel tempo aveva comunque raggiunto una propria fisionomia) con alcuni elementi storicamente significativi distribuiti in modo casuale e in mezzo a un traffico caotico. Questi elementi erano: un grande albero centenario piantato alla fine della Prima guerra mondiale; due caselli daziari; l’Arco di Porta Ticinese, monumentale opera del Cagnola; un tradizionale apprezzato chiosco del pesce.
6)             Vediamo ora le trasformazioni imposte ai due ambienti. La Darsena: la mancanza di indicazioni più precise non permette di dire se lo specchio  d’acqua è stato modificato o mantiene tutta l’ampiezza precedente; l’assito dell’antica darsena è stato ricoperto totalmente; del raccordo con la conca di Viarenna rimane un ponticello e un semicerchio di cemento (per fortuna il resto, la parte più brutta, è sotto il livello dell’acqua); le mura spagnole sono coperte da anonime mattonelle rosse; il vecchio mercato è stato demolito e ricostruito su una parte della banchina dell’ex porto: il resto delle banchine dell’ex porto è stato pedonalizzato e appare destinato  a contenere molte  iniziative economiche (bar, ristoranti, ecc) di cui alcune già in costruzione, anche con strutture precarie galleggianti. Le strutture fisse sono di un incomprensibile colore verde scuro di cui nella storia di Milano non c’è traccia; su tutto incombe un enorme cubo nero come supporto di uno spazio televisivo promozionale.
In questo ambito ci sono comunque alcuni elementi parzialmente positivi: la riapertura di un breve tratto (20/30 metri) del deflusso del canale Ticinello; la riscoperta dell’antico Ponte delle Gabelle sul Ticinello; l’edificazione di un ponte sospeso pedonale, all’altro capo della ex Darsena.
La piazza, poi, è ancora più desolata di prima e di difficile attraversamento anche pedonale e soprattutto senza coerenza interna e senza collegamento logico con il circondario; l’albero centenario resta isolato in una piccolissima aiuola; i caselli daziari appaiono sperduti tra incongrue rotaie tranviarie; l’arco del Cagnola è ridotto a spartitraffico; il nuovo tratto del Ticinello resta tronco e senza giustificazione; il Ponte delle Gabelle difficilmente riconoscibile come tale, accostato a una specie di grande tombino circondato da alte balaustre in metallo in cui scompare il Ticinello; il chiosco del pesce è quadruplicato. Resta un grande piazzale su due livelli lastricato con grandi pietroni.
7)             Che cosa si sarebbe dovuto o potuto fare? tentiamo qualche esempio, non un progetto alternativo ma solo qualche idea per esemplificare:
alla Darsena si sarebbe dovuto conservare il riferimento alla caratteristica di porto fluviale di una grande città commerciale. Un esempio possibile avrebbe potuto essere la trasformazione dell’Antico porto di Genova realizzata da Renzo Piano, dove quanto possibile è stato conservato e rinnovato e si sono inventati nuovi elementi che, per funzione o per aspetto, rievocano la struttura precedente (l’acquario, il Bigo, il museo del Mare). Anche nel caso milanese le nuove strutture (poche e coerenti, compreso mercato e qualche posto di ristoro) avrebbero dovuto rievocare antiche strutture, mostrare funzioni e simbologie significative, ecc.. Si poteva, per esempio trasferire qui il Museo e Biblioteca d'Arte Marinara "U. Mursia" oggi sacrificato a Palazzo Morando; una scuola di canottaggio, o altro; si sarebbe dovuto valorizzare il tratto delle mura spagnole rimaste, anziché seppellirle sotto un anonimo nuovo muraglione; la ricopertura dell’antico assito era una disposizione del Conservatorio archeologico, vista l’impossibilità di conservarlo adeguatamente, ma poteva esserne mantenuta una traccia, un riferimento, almeno un pannello illustrativo, una segnaletica ecc.); analogamente doveva essere meglio indicato il collegamento con la Conca di Viarenna se fosse stato impossibile ricostruirlo davvero. Indispensabile sarebbe almeno un passaggio pedonale (strisce bianche) per rendere possibile l’attraversamento dell’infernale viale D’Annunzio per permettere di raggiungere la Conca di Viarenna.
Per di più, se quel che era un porto aveva meno problemi di sicurezza contro eventuali cadute in acqua, questo che è diventato un passeggio per famigliole dovrebbe aver previsto protezioni e dispositivi per poter risalire in caso di caduta accidentale in acqua.
La nuova piazza è ancor peggio risolta. Le manca un minimo di unità logica, una credibile omogeneità funzionale, un collante storico. Si sarebbe potuto, magari, cambiargli l’infausto nome di celebrazione di un’atroce guerra (meglio sarebbe riscoprire la pace e l’accoglienza dedicando la piazza alle “nuove vittime del mare”, i migranti da Paesi distrutti). Si sarebbe potuto far scorrere le rotaie dei tram e gli attraversamenti automobilistici solo sul lato orientale e su quello meridionale della piazza, ottenendo così un grande spazio da piantumare a verde riunendo in un’unica area l’albero centenario, l’arco del Cagnola, almeno uno dei caselli, il Ponte delle Gabelle, la pescheria, l’attuale piazzale lastricato (ex mercato) sfruttando eventualmente i due diversi piani per costruire un piccolo anfiteatro, e magari prolungare di una decina di metri il tratto scoperto del Ticinello rendendolo più coerente e restituendo al Ponte delle Gabelle un aspetto di ponte di transito,  e, visto che le sue dimensioni sono eccessive per la funzione solo pedonale che ora avrebbe, si sarebbe potuto collocare sul Ponte stesso anche il Trionfo del Fuentes (un monumento che prima stava su un altro ponte della stessa sponda e che ora sta in qualche deposito del Comune).
Anche a non voler interrare il tratto di via D’Annunzio, qualche arredo opportuno (due tettoie sopra i passaggi pedonali, per esempio) avrebbe potuto indicare un collegamento con corso di porta Ticinese e piazza san Eustorgio.
8)             Come si è giunti all’attuale risultato?
La progettazione è stata affidata a tecnici interni al Comune senza ricorrere a professionisti esterni, e questo è certamente positivo. E’ però evidente che il progetto è stato influenzato -se non fatto direttamente derivare- da quello previsto all’epoca in cui si voleva realizzare sotto la Darsena un parcheggio (progetto fortunatamente sventato) e dall’adesione ideologica degli amministratori alla teoria dei “giacimenti culturali”.
E’ comunque mancata, soprattutto nella fase progettuale, un’aperta consultazione del pubblico che si è trovato di fronte a un semplice rendering poco valutabile e sul quale non era possibile intervenire; il cantiere, poi, è stato sempre rigorosamente chiuso e invisibile: poche visite parziali e frettolose sono state concesse a rappresentanti della cittadinanza ma delle loro osservazioni non si è tenuto nessun conto. Neppure il Comitato spontaneo che si è costituito ha trovato ascolto da parte delle istituzioni cittadine responsabili del progetto, anche perché ha impostato la sua azione non sulla ridiscussione “dell’ipotesi culturale” sottesa al progetto, ma solo sulla contestazione di elementi puntuali considerati inaccettabili (il carattere del lastricato, l’odore del pesce, l’invadenza delle nuove dimensioni della pescheria, la scarsa agibilità del mercato rispetto al quartiere di via San Gottardo, e simili).

Inoltre il Comitato ha puntato soprattutto sulla possibilità di ottenere dalle autorità cittadine ascolto e variazioni del progetto indicendo alcune assemblee di informazione del pubblico ma sostanzialmente rinunziando a una reale mobilitazione che avrebbe richiesto iniziative ampie, pubbliche e incisive e lo stesso comitato No Expo non ha saputo intervenire in questo ambito (che pure nasceva in collegamento con Expo di cui doveva inizialmente costituire il punto d’arrivo delle Vie d’Acqua).

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